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L’estate sta finendo, cantavano i Ribeira molti anni fa, ma in realtà la bella stagione
è in pieno splendore… e allora, se si hanno ancora alcuni giorni di ferie, perché non
pensare ad una grande traversata in mountain bike nelle Dolomiti? Soprattutto se piacciono
le imprese veramente dure… da Dobbiaco a Feltre, sulle tracce delle Alte Vie 1 e 2,
toccando tutti i gruppi più famosi, dal Fànes alle Cinque Torri, dal Pelmo alla Civetta,
dalle Pale di San Martino alle Vette Feltrine.
Sei tappe per un totale di 8348 metri di dislivello in salita: a ripensarci dopo, è quasi
la quota del monte Everest o del K2! Era un po’ di tempo che pensavo ad un’Alta Via delle
Dolomiti in versione cicloescursionistica e finalmente a fine agosto arriva una finestra
di bel tempo stabile per tentare: solo che il meteo dà bello da lunedì, Luca ed io la
domenica pomeriggio sfidiamo la sorte e così ci becchiamo un sacco d’acqua per arrivare
all’ostello di Dobbiaco… poco male, alla sera arriva la madre di tutte le schiarite e
così il giorno seguente pedaliamo baldanzosi lungo la meravigliosa pista “del trenino”
che da Dobbiaco porta a Cortina. L’euforia scema presto quando affrontiamo la prima delle
tre salite di questa prima tappa, che guarda caso è anche la più dura: arrivare alla
forcella Lerosa è veramente penoso e ancora peggio avviene sulle micidiali pendenze che
rimontano al rifugio Sennes; l’apice viene toccato salendo la stradella sabbiosa che dal
rifugio Pederù arriva al Fànes : un tormento, perché finisce che la si affronta sempre
verso le due o tre del pomeriggio, oggi il cielo è terso come una tavola blu e il sole
scotta come in Africa, così saliamo a piedi!
Una bella dormita ci rimette in sesto ed il giorno dopo filiamo veloci nel bellissimo piano
di Tadega per poi scendere dagli alti scalini del col de la Loccia rigorosamente con bici a
mano: anche oggi l’entusiasmo inizia a calare rimontando le rampe del passo di Valparola,
non certo impossibili, ma per noi già impegnative: dopo uno strudel e la seggiovia che porta
al rifugio Scoiattoli, la vista delle Cinque Torri ci esalta così come la discesa seguente
ed il bel traverso che ci porta alla base del tormento finale, la risalita al rifugio Palmieri
sotto la Croda da Lago. La vietta è asfaltata, ma le pendenze son degne del Giro d’Italia
e così anche stavolta procediamo per lo più a piedi, ma quelli forti non avranno certo
problemi…
Se le salite sono durissime, l’ambiente è grandioso: davanti a noi sono sfilate le vette
del Cristallo, del Fànes, del Lagazuoi, delle Tofane ed ora, nella terza tappa, mentre
saliamo faticosamente verso la forcella d’Ambrizzola, ci sovrasta il Becco de Mezdì e dopo
lo scollinamento appare in tutta la sua imponenza il Pelmo, detto in Veneto “el caregon
del Padreterno”, cioè il “seggiolone di Dio”… Davvero un ambiente fantastico! Caliamo
dall’Ambrizzola ancora a piedi per una parte della discesa, poi in sella arriviamo rapidamente
al rifugio Città di Fiume: proprio sopra di noi incombe la grande parete nord-ovest del
Pelmo e l’unico modo per proseguire è aggirarlo sul suo versante orientale, cosa più facile
a dirsi che a farsi. Prima la discesa per la val de Forada, molto impegnativa, ci stanca
non poco, poi dopo un breve tratto riposante che segue il ponte Intrà les Aghes arriviamo
alla peggiore follia ciclistica mai vista dal sottoscritto: al ponte della Madonna ci si
collega alla stradina che risale da Borca e si issa sino al rifugio Venezia-de Luca, ma
questa salita è terrificante, in un tratto arriva addirittura a 40 gradi di inclinazione,
pari ad una pendenza dell’80%... Ad un tratto passa il gestore del rifugio con il suo
pick-up, prima ridotta e 5 chilometri all’ora, ci offre un passaggio sino all’arrivo, ma
noi orgogliosamente gli diamo solo i bagagli, così giungiamo all’ospitale edificio della
sezione di Venezia pressoché disfatti.
Ci rifocilla una ottima cena a base di pastin, il famoso impasto di maiale molto diffuso
nel bellunese, e la visione della grande parete del Pelmo, con la famosa cengia di Ball:
alle 19.30 c’è ancora gente che sta scendendo! Almeno stasera non rischiano, il tempo è
buono. Invece la mattina seguente nebbie e nuvole si diradano a fatica al sorgere del sole,
so che stasera verrà a piovere: via veloci quindi attraverso il fangoso passo di Rutorto e
sempre più giù sino al suggestivo paesino di Zoppé, dove sopravvivono ancora molte costruzioni
tipiche in legno, con i balconi predisposti per la stesa del fieno che può asciugare al
riparo da eventuali piogge. Prima sorpresa di questa quarta giornata: il ponte sul torrente
Rutorto è in ricostruzione quindi di qui non si passa , ci tocca scendere sino a Forno di
Zoldo e da lì rimontare con fatica lungo la statale prima sino a Dont, dove Luca mi saluta
perché deve rientrare a casa anzitempo. Da questa frazione procedo lentamente sino a Palafavèra,
dove conto di aiutarmi con la seggiovia del Col dei Baldi, ma manche qui altra sorpresa:
l’impianto a fune non carica le biciclette e così devo sciropparmi altri quattrocento metri
di dislivello, senza aver mangiato nulla per guadagnare tempo e venendo punito per questa
idea antisportiva.
Quando vedo la tabella della forcella d’Alleghe, sono veramente felice e già pregusto la
bella discesa lungo le piste che calano verso il lago omonimo ed invece terza sorpresa: la
calata è veramente ripida ed io ho i freni mezzi consumati, faccio pure una tombola, per
fortuna su un prato… Tutto è bene quel che finisce bene e la tensione si stempera davanti
ad un bel gelato sulla riva del lago di Alleghe: il cielo si è fatto scuro, iniziano a cadere
le prime gocce di pioggia ed io mi affretto a raggiungere Cencenighe ed archiviare la quarta
tappa.
Nella notte è piovuto parecchio, ma ora il cielo promette bene e così mi avvio costeggiando
il torrente Biois sino a raggiungere Falcade, da qui devo rimontare con dura salita il passo
Valles, buttarmi giù sull’altro versante e poi di nuovo su per l’incantevole val Venegia
sino alla Capanna Segantini. La visione del Cimon della Pala da questo versante è superba,
con la cuspide sommitale del Becco che svetta nel cielo sereno… sullo spigolo NE corre la
via Melzi-Zecchin, classica arrampicata di 3° grado, aperta nel 1899 e da tempo uno dei miei
obiettivi, chissà quando riuscirò a salirlo… per fortuna che per oggi le salite sono pressoché
terminate, mi scaracollo giù sino a passo Rolle per la sterrata e poi ancora più giù a San
Martino di Castrozza lungo la famosa statale 47 delle Dolomiti.
Questa grandiosa traversata volge al termine passando sotto tutto il versante ovest delle
Pale di San Martino, tra ombrosi boschi e splendidi prati, mantenendosi ad una quota tra i
1600 ed i 1300 metri, per giungere al Cant del Gal, dove il rifugio omonimo mi accoglie per
la notte. Nell’ultima frazione i luoghi attraversati sono più solitari, ma non per questo
meno suggestivi: i prati Caltene, il torrente Noana, il rifugio Fonteghi e sempre più sino
al rifugio Vederne, la malga Agnerola e, con un ultimo durissimo sforzo, spingendo la
bicicletta a mano, il Passo Pavione. Tutto fila liscio ed ora mi aspetta solo il trionfale
traverso lungo la stradella sino al rifugio Dal Piaz, splendido nido d’aquila della sezione
di Feltre: per festeggiare ci vuole una birra ed intraprendere la lunga discesa che in due
ore mi riporta al passo Croce d’Aune ed alla pianura di Feltre.
NOTE
TECNICHE Numero
tappe :
6 Dislivello
totale salite : m. 8350
circa Tappa 1 : Dobbiaco - rif.Fanes Tappa 2 : rif.Fanes - rif.Palmieri Tappa 3 : rif.Palmieri - rif.Venezia Tappa 4 : rif.Venezia - Cencenighe |